«Bio, artigianalità, novità. Così il vino italiano fa breccia nel mercato danese». Intervista alla sommelier Eliana Napoli

Sommelier per grande passione e curiosità verso il mondo del vino, Eliana Napoli ha studiato in Danimarca ed è attualmente diplomanda nel percorso internazionale educativo del WSET. Da sempre la sua missione è condividere la propria passione per il vino e far conoscere eccellenze e diversità del territorio italiano. Ha condotto diverse master class e collabora come sommelier nella ristorazione a Copenaghen. Abbiamo avuto il piacere di intervistarla per capire, direttamente dalla sua voce di “addetta ai lavori”, come e se sta cambiando il mercato del vino danese e in che modo le amate etichette italiane possono conquistare ancora più spazi.

In base alla tua esperienza, le abitudini di consumo al tavolo in Danimarca sono cambiate? Noti nuove tendenze?

I consumatori sono molto più educati, sanno cosa vogliono. La tendenza lentamente sta cambiando. Vedo che quando in una carta del vino si introduce un nuovo uvaggio, la gente è molto ricettiva, sia i millennial che i consumatori più in avanti con gli anni. Le persone viaggiano e quando vanno in Italia bevono local. Devo dire che ci sono, di base, molto interesse e una buona conoscenza della materia. Questo non significa che però non sia necessario fare un lavoro di divulgazione e promozione, anche se va detto che la maggior parte delle persone che entrano al ristorante conoscono i vini e i territori di produzione. Quello danese è tendenzialmente un pubblico molto curioso, che si lascia consigliare e guidare perché si fida.

Con che criteri i ristoratori costruiscono la carta dei vini?

Ci sono parecchi ristoranti che hanno la propria piccola-media importazione e curano con scrupolo il comparto “vino”. Altri lavorano con importatori grandi che sono concentrati sui volumi più che sulla ricerca. Altri ancora, invece, sono molto dinamici, fanno le loro carte dei vini in base al cibo o al concept del ristorante che hanno e cambiano anche spesso carta dei vini e sono per lo più orientati sui vini naturali. Poi ci sono quelli concentrati sui vini di nicchia. È un mercato molto frammentato.

Dopo il covid le carte dei vini hanno subito modifiche e, se sì, come?

Le carte dei vini si aggiornano sempre. E questo si è verificato anche nel post pandemia. Io ho notato una piccola tendenza anche nei ristoranti stellati: si inizia a lavorare con produttori più “artigianali” e piccoli, c’è molto interesse verso le produzioni più particolari e meno conosciute.

Copenaghen, 27 ottobre

A Glass of Italy è un evento di grande successo realizzato da Enora in Danimarca. Quest’anno si terrà giovedì 27 ottobre, sempre al Kosmopol di Copenaghen, in collaborazione con Danitacom (Camera di commercio italiana in Danimarca). Tutti i produttori partecipanti potranno incontrare buyer realmente interessati ai loro vini e appassionati wine lover.

Come pensi che i danesi percepiscano il vino italiano e quali sono i vini che vanno per la maggiore?

Sicuramente Piemonte e Toscana sono sempre nella TOP3, poi Sicilia, Umbria, Abruzzo, Marche, Friuli, Calabria. Il vino italiano è visto come un vino di qualità, di livello, ricercato, un vino con storie e tradizioni dietro. Sopravvive comunque il pensiero che dall’Italia ci si aspetti sempre qualcosa di diverso, magari vini “nuovi” che vadano oltre ai grandi classici.

Che peso ha essere un produttore bio/organic in quel mercato e per quel tipo di target?

In base alla mia esperienza, se tu racconti e spieghi cosa significa essere bio, il consumatore apprezza a prescindere dal fatto che sulle bottiglie ci sia o meno il bollino bio. La Danimarca è molto sensibile alle tematiche relative a sostenibilità, bio, green. C’è questa predisposizione culturale, quindi è una tipologia di vino che può avere una marcia in più.

I giovani (under 30) bevono vino? Se no, come possono essere avvicinati a questa cultura?

Sì, bevono vino. C’è un po’ questa tendenza del vino naturale, però sono molto interessati al vino in genere, pensano che sia un prodotto “cool”, un prodotto di qualità. Chi se lo può permettere – ed è molto interessato – inizia a diventare wine collector, viaggia e capisce che nel vino c’è un grande valore, culturale e commerciale. Sicuramente tanti vini bianchi e le bollicine sono i più apprezzati, ma chi può permetterselo sceglie anche i grandi rossi. I giovani under 30 si possono avvicinare al vino un po’ attraverso i social facendo un lavoro quasi educativo, non pesante o dal taglio accademico, un blend tra intrattenimento e cultura, magari anche attraverso eventi non troppo classici. Il danese apprezza quando qualcuno gli va incontro a livello di proposta enogastronomica a tutto tondo, in modo che il vino non sia solo un’occasione per bere, festeggiare o evadere, ma che diventi un’opportunità per scoprire abbinamenti a piatti tipici delle diverse tradizioni enogastronomiche.

Ti sentiresti di dare qualche consiglio ai produttori italiani che vogliono approcciare il mercato danese?

I produttori italiani devono essere perseveranti perché il mercato danese, e nord europeo in genere, inizia ora a essere più aperto verso le nuove tendenze (in Usa sono più avanti da questo punto di vista). È necessario fare eventi, attività di promozione, dai classici eventi standard ad altri più particolari che si rivolgano magari anche a pubblici più giovani. L’importante è sempre far prevalere l’eccellenza locale, ma in generale i tempi sono maturi per avere coraggio e uscire dai confini italiani. L’importante è che il produttore sappia veicolare la propria storia e i propri vini.